Mauro Marletto Nuova realtà Metropolitana

La fotografia può accarezzare il “vero”. O essere molto più indelicata e scavarlo,
costruendo un rapporto con la realtà che a volte comprende squilibri oggettivi,
battendo sull’alienazione di dati socialmente riconducibili a pose e posizioni
altamente quotidiane.
L’uomo del nuovo millennio fissato da Mauro Marletto è tornato a un’interazione
attiva con l’ambiente circostante, al confronto con esso, mostrando tutto
il peso degli anni passati dalla visione romanticamente infinito-inafferrabile
dello spazio. Spazio che ora è puro e inerte artificio, nato per volontà dell’uomo stesso.
Piccoli protagonisti non crescono, per (non) scelta Restano tali e quali. Vagano
nello spazio aperto, chiusi tra i loro affari personali. Non li conosceremo mai,
forse nemmeno sentiamo più di tanto il bisogno di sapere qualcosa sul loro conto,
qualcosa che vada oltre al comprendere che Marletto li ha trasformati,
campionandoli come illustri ignoti Immobilizzati da un bianco/nero impregnato
d’eternità. Scelta cromatica funzionale per un fotografo che, unendola alla
post-produzione, sa dove mettere le mani quando il fine è raggelare l’enfasi
del colore per riconvertirla in enfasi della narrazione, in quella sproporzione stridente
Che è “l’anima e l’essenza” per dirla con le stesse parole di Marletto – di un intero
progetto fotografico. Solo in questo modo Marletto può picchiare in maniera determinante
E determinata sui dati salienti, producendo un racconto volutamente circostanziato,
dove pure gli attacchi incessanti del decorativismo architettonico più anti-razionalista rientrano
a fare la differenza, a completare il ritratto esistenziale plurimo di un’umanità evolutiva
all’inverosimile, ma incapace d’essere eclatante.
L’oumo marlettiano è la simbolica, reale, pedina vulnerabile di un meccanismo
fotografico che annulla la solidità di ogni possibile comfort zone.
E’ un fantasma inconsapevole del proprio esistere. Da un lato c’è la capacità di assumere
come colonna portante una storiografia fotografico-sociale alla Berengo Gardin, dall’altra
di accaparrarsi cronachisticamente i luoghi alla Gabriele Basilico. In mezzo un Marletto capace di
rendere evidente tra il frastuono monumentale/eterno dell’architettura e il silenzio minimale/
effimero di chi passa solo per un momento. E se ne va.